E' sempre difficile riassumere una vita in poche righe, soprattutto quando la vita in questione è piena ed intensa, tanto che a volte nemmeno mille pagine possono bastare. Molti appassionati di calcio, veri amanti di questo sport, non hanno mai sentito parlare di Arpad Weisz, infatti alla sua epoca, anni '30, gli allenatori non erano delle superstar come oggi, erano i direttori d'orchestra silenziosi che molto spesso non scendevano neanche in campo durante la settimana. Arpad Weisz è stato uno dei primi a farlo, a mettersi i pantaloncini e lavorare con i suoi ragazzi in un campo fangoso un mercoledì mattina qualunque. Ma non è per questo che è passato alla storia; è diventato leggenda per i risultati che ha ottenuto, per come li ha ottenuti, ma soprattutto per la sua tragica morte direttamente collegata al capitolo più buio della storia dell'umanità: la Shoah.
Arpad Weisz nasce a Solt, un piccolissimo villaggio dell'Ungheria meridionale, il 16 aprile 1896, figlio di due ebrei ungheresi. Si appassiona al calcio fin da giovane ma i tempi gli sono avversi. La Prima Guerra Mondiale investe il suo Paese, all'epoca l'Impero Austro-Ungarico e lascia le sue tracce per gli anni a seguire. Il giovane Weisz inizia a giocare in piccole squadre nei vari campionati di zona per poi passare al Törekves e in seguito al Maccabi Brno, squadre più blasonate che gli valgono la convocazione nella Nazionale ungherese. Giocava da attaccante e anche se non segnava spesso era molto insidioso in contropiede grazie al fisico leggero.
Il calcio ungherese dell'epoca era tra i più popolari, grazie alle innovazioni tattiche la sua Nazionale era una delle più forti ed ostiche da affrontare, e Arpad si fa notare in occasione dell'Olimpiade del 1924 che gli vale l'acquisto da parte dell'Alessandria e l'arrivo nel nostro Paese. Gioca una sola stagione in Piemonte per poi trasferirsi all'Inter, dove dopo sole undici partite di campionato, in seguito ad un contrasto molto duro, è costretto ad abbandonare il campo per sempre.
Weisz non si lascia demoralizzare dall'incidente, ed inizia a studiare tattiche e schemi di gioco delle altre squadre per intraprendere la carriera di allenatore. Passa del tempo in Sudamerica tra Argentina ed Uruguay ed inizia ad affinare le conoscenze che lo renderanno il miglior allenatore della sua epoca. La prima esperienza in panchina la fa proprio all'Alessandria come vice di Augusto Rangone, prima di diventare il capo tecnico dell'Inter la stagione seguente.
Molte cose stanno cambiando in quel periodo, siamo in piena epoca fascista, e l'Inter come molte altre attività è costretta a cambiare nome, ad "Italianizzarlo", e visto che Internazionale ha un richiamo troppo socialista, i nerazzurri diventano l'Ambrosiana. Lo stesso campionato cambia, dalla stagione 1929/30 per la prima volta si avrà un girone unico, detto "Girone all'italiana", dove tutte le squadre si affronteranno in partite di andata e ritorno. L'Ambrosiana, o Inter, non stava vivendo il momento migliore della sua storia. Era reduce da alcuni campionati anonimi, ma spinta da una notevole voglia di riscatto. L'arrivo in panchina di Weisz porta molte novità, soprattutto a livello tattico e di gioco, ma la novità più importante è sicuramente la promozione in Prima Squadra di un giovane ragazzo delle giovanili, dal fisico a detta di molti non adatto, Giuseppe Meazza. Sotto la guida del tecnico ungherese Meazza segna gol a ripetizione, candidandosi a leader della squadra a soli diciannove anni.
Nella stagione 1929/1930 l'Ambrosiana non parte benissimo, ma in rimonta supera Juventus e Genoa (in quegli anni "Genova" per la già citata politica di Italianizzazione), le due maggiori accreditate per lo scudetto, e vince il girone di andata. Da li in poi, guidati dal giovane Meazza, i nerazzurri iniziano a staccare tutti gli avversari, compreso il Genova, l'ultimo ad arrendersi.
A tre partite dal termine l'Ambrosiana guidava la classifica con quattro punti di vantaggio sui liguri. All'epoca erano assegnati due punti ad ogni vittoria, quindi il vantaggio era notevole ma non impossibile da recuperare. L'occasione del recupero si presenta per i rossoblu il 15 giugno 1930, allo stadio milanese di Via Goldoni. Il pubblico era quello delle grandi occasioni, tribune piene fino all'ultimo posto disponibile, anzi fin troppo piene, tanto che iniziarono prima a scricchiolare per poi crollare ferendo diverse persone. La partita però era troppo importante, non poteva essere rimandata e si giocò con i tifosi praticamente sul campo di gioco. L'incontro stava dando lo spettacolo sperato tanto che a cinque minuti dal termine le due formazioni si trovavano sul 3-3, quando venne assegnato un calcio di rigore in favore del Genova. Sul dischetto si presentò Felice Levratto, soprannominato lo "sfonda reti", ed autentico pericolo per tutte le difese d'Italia.
I tifosi impauriti, e soprattutto a due passi dal terreno di gioco, iniziarono ad urlare, inveire e minacciare il giocatore, tanto che fu costretto a tirarsi indietro e lasciare il compito di battere il rigore a Elvio Banchero che lo sbagliò.
Partita finita in parità, l'Ambrosiana gestisce le ultime due di campionato e vince con l'incredibile punteggio di 50 punti. Merito della squadra, dei 31 gol siglati da Giuseppe Meazza e delle innovazioni tecniche di Arpad Weisz.
Negli anni a seguire la squadra non riesce a ripetere lo stile di gioco arioso e all'avanguardia di quella gloriosa stagione e lascia campo libero alla Juventus che apre un ciclo durato ben cinque stagioni.
L'allenatore ungherese lascia Milano per accasarsi al Bari nella stagione 1931/32, per poi tornare nuovamente all'Ambrosiana la stagione successiva, che sarà anche l'ultima sulla panchina nerazzurra.
Nel 1935 si trasferisce al Bologna, una cosiddetta "provinciale" che però dalla sua fondazione inizia a farsi notare nel grande calcio tanto da vincere due scudetti negli anni '20. Il Presidente, Renato Dall'Ara da subito carta bianca al neo tecnico che nella realtà emiliana è libero di esprimere al massimo le sue ideologie tattiche ed i rossoblu iniziano a dare lezioni di calcio a tutti, tanto che riescono a conquistare il titolo al primo anno di panchina dell'allenatore ungherese.
In questi anni Arpad non si è dedicato solo alla pratica delle sue tattiche, ma ha realizzato anche un saggio, in collaborazione con Aldo Molinari con prefazione firmata Vittorio Pozzo (Commissario Tecnico dell'Italia Campione del Mondo nel 1934 e nel 1938), dove spiegava tutte le sue moderne teorie sul Giuoco del Calcio, per riprendere il titolo del libro, con schemi disegnati ad hoc per ogni ruolo e per ogni giocatore che si dedicavano anche al modo in cui un difensore doveva spazzare il pallone dalla propria area ed a come doveva valutare le situazioni di parità o inferiorità numerica. Il manuale ha fatto scuola per gli anni a venire ed è stato un saggio fondamentale nella formazione dei tecnici che hanno fatto la storia del calcio.
L'anno successivo al primo scudetto "la squadra che tremare il mondo fa", come verrà in seguito chiamata dai giornali, è tenuta a ripetersi. Giocatori e tecnico non mancano l'obbiettivo centrando nuovamente la vittoria nonostante l'insidiosa rincorsa della Lazio guidata da Silvio Piola.
La vera vittoria di quell'anno, e la più grande per Arpad, non avviene sui campi Nazionali, ma bensì in terra francese. Nel 1937 il Bologna è stato invitato a prendere parte al Torneo Internazionale dell'Expo Universale di Parigi, dove si fronteggiavano le migliori squadre Europee in una sorta di antenata della Coppa dei Campioni. Nei quarti di finale i felsinei si liberano facilmente con un perentorio 4-1 dei francesi del Sochaux. Nella semifinale giocata a Lille battono 2-0 l'insidioso Slavia Praga, che come tutte le squadre dell'est europeo giocava un calcio a livello di club secondo solo agli inglesi progenitori del gioco. La finale, giocata allo Stadio Colombe di Parigi, vede i bolognesi di Arpad, "la squadra che tremare il mondo fa", opposta agli inglesi del Chelsea, una delle migliori formazioni britanniche di quel periodo. Ebbene il gioco innovativo, caratterizzato dal movimento continuo dei giocatori sia in fase di possesso che in copertura, dei bolognesi, autentica invenzione di Arpad Weisz distrugge i genitori del calcio, gli inventori del gioco, con un secco 4-1 che non lascia spazio a interpretazioni.
Quel momento, quel successo e quella vittoria sarebbero solamente l'inizio di una grande ascesa per l'uomo che ha realizzato il tutto. Ebbene accade totalmente l'opposto. Siamo in un periodo di grande tensione politica, e l'Italia di Benito Mussolini promulga le Leggi Razziali sulla base di quanto già avvenuto nella Germania nazista. Agli Ebrei, ed a molte altre minoranze, vengono imposte molte limitazioni che si fanno via via più dure negli anni. Tra le cose che non possono fare c'è insegnare, l'andare a scuola con gli altri e dirigere imprese nelle quali ci siano o lavorino ariani. Per Arpad Weisz e la sua famiglia, che intanto si era stabilita ed integrata a Bologna, è la fine di tutto, la fine di una vita normale e la fine del lavoro di Arpad che si trova costretto ad abbandonare l'Italia. Si trasferisce insieme alla moglie Elena, anche lei ungherese di origini ebraiche, ed i figli Roberto e Clara a Parigi, dove però presto la situazione crolla. L'allenatore che ha vinto tutto ed insegnato il calcio non riesce a trovare lavoro, ed a peggiorare il tutto c'è l'arrivo dei nazisti e delle leggi razziali dalle quali stanno scappando. La Francia è stata inglobata nella pazzia dell'antisemitismo, persino il capitano della Nazionale francese del 1930, Alexandre Villaplane, si fa coinvolgere dal tutto diventando addirittura informatore per la Gestapo.
Arpad e la sua famiglia sono costretti nuovamente a scappare e l'unica soluzione possibile arriva dall'Olanda, precisamente da Dordrecht che lo voleva come allenatore della squadra cittadina. Il Dordreschte era una delle società più antiche dei Paesi Bassi e prima dell'arrivo dei Weisz si trovava in lotta per non retrocedere. Arpad riuscì a salvarla dopo uno spareggio e si dedicò all'insegnamento del suo sistema. La stagione successiva il Dordreschte riuscì a conquistare un insperato quinto posto, battendo addirittura il Feyenoord, purtroppo però l'incubo dei Weisz e di molti altri nelle loro condizioni si fece vivo anche in Olanda. Nel 1940 i tedeschi invasero i Paesi Bassi, Arpad riuscì a guidare il Dordreschte per un'altra stagione conquistando nuovamente il quinto posto, ma il 29 settembre 1941 arrivò l'ordine perentorio delle leggi razziali e il tecnico ungherese fu costretto nuovamente ad abbandonare la panchina.
Molti olandesi durante l'occupazione si distinsero con atti eroici per aiutare ebrei o chi nelle loro stesse condizioni. Anche i Weisz furono aiutati dalla comunità di Dordrecht, che aiutò lui e la sua famiglia a tirare avanti in quel periodo buio, purtroppo però non riuscirono mai a raccogliere abbastanza soldi per permettergli di abbandonare il Paese e il 2 agosto 1942 l'intera famiglia Weisz fu prelevata dalla Gestapo ed avviata ai campi di sterminio.
Dopo una breve sosta a Westerbork il 2 ottobre furono messi in viaggio in direzione Auschwitz-Birkenau. Il 5 ottobre sua moglie Elena ed i figli Roberto e Clara trovarono la morte nelle camere a gas. Arpad riuscì a resistere ai lavori forzati fino al 31 gennaio 1944 quando morì ed il suo corpo venne gettato in una delle innumerevoli fosse comuni.
Fu così che trovò la morte Arpad Weisz insieme ad altri sei milioni di ebrei, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, Rom, Sinti, Jenisch, Testimoni di Geova, Pentecostali, omosessuali, malati di mente e portatori di handicap, tutte vittime della follia collettiva, tutte vittime del capitolo più buio della storia umana.
Arpad Weisz ha lasciato tanto al mondo del calcio, le sue innovazioni, le sue tattiche hanno cambiato il modo di pensare dell'epoca facendo fare un balzo in avanti all'evoluzione del gioco. A Bologna e Milano viene ricordato con una targa apposta sugli stadi delle due città in modo che anche le future generazioni ricordino ciò che ha fatto e ciò che gli è successo, perché il più grande errore che l'umanità potrebbe commettere è il dimenticare.
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