venerdì 22 giugno 2012

Eredità di sangue: i figli dei gerarchi nazisti


La colpa ereditata può essere collettiva. Nella Germania del dopoguerra una generazione di bambini è cresciuta sapendo che i loro padri erano stati nazisti.

Per scrivere il suo libro Nato Colpevole, Peter Sichrovsky ha intervistato 40 discendenti di nazisti. La maggior parte di loro ha confessato che una cosa è condannare gli assassini, le torture, gli abusi commessi dai nazisti; un’altra renderti conto che tuo padre fu uno di loro. In molti casi lo vennero a sapere tardi e grazie a terzi: nelle loro famiglie si era instaurato un patto di silenzi.

Le reazioni dei figli dei nazisti oscillavano dall’odio e il rifiuto alla vergogna silente, al disgusto o alla lealtà. Nessuno parlava di amore riferendosi ai loro padri. Sichrovsky era impegnato a far sì che questi figli osassero chiedere ai loro genitori «Perché l’hai fatto?» e questa è, forse, la domanda che non avrebbero voluto o potuto fare, per paura della risposta: «Perché per me era giusto, non mi pento di nulla; continuerei a farlo».

Non mi pento di nulla è precisamente il titolo di una biografia di Rudolph Hess pubblicata da suo figlio, Wolf-Rüdiger Hess, negazionista dell’Olocausto, il quale sostenne che il padre non morì di morte naturale in carcere, ma fu assassinato.


Niklas Frank, uno dei due figli di Hans Frank, il governatore nazista della Polonia, racconto alla rivista tedesca Stern che il giorno in cui impiccarono suo padre dopo la sentenza di Norimberga, si masturbò con una foto di quell’uomo che riteneva un codardo, corrotto, assetato di potere, credule e assassino, «l’uomo che rese possibile Auschwitz».

Niklas Frank dedicò gran parte della sua vita alla pubblicazione di libri e articoli contro il padre. Suo fratello Norman dichiarò nel 1959 che suo padre era colpevole senza remore. «Ha commesso crimini terribili e ha pagato questo prezzo con la sua vita». Norman non ha voluto avere figli proprio per non spargere il seme maledetto, per far estinguere quel cognome infame.

Martin Bormann, il figlio del luogotenente di Hitler, si impegnò nella missione di investigare sulla vita di suo padre, con un obbiettivo: assicurarsi se fosse a conoscenza dell’olocausto e dei crimini perpetrati dal regime che servì o se fosse innocente. Arrivò alla conclusione di capire che suo padre sapeva tutto; la sua firma era infondo a troppi documenti e ordini importanti. Tuttavia, porta sempre nella sua borsa una vecchia cartolina che suo padre gli mandò nel 1943 nella quale lo chiamava «figlio del mio cuore». Si giustifica dicendo: «Pensi che questa è l’immagine che ho come figlio e non me la possono togliere».

All’interno della gerarchia dei crimini nazisti, dopo Hitler, forse quello che più provocò orrore e terrore è Heinrich Himmler, il capo delle temibili SS che diresse, come ministro dell’Interno, la polizia segreta della Gestapo e fu il promotore, l’organizzatore e il responsabile del programma dello sterminio degli ebrei, che odiava.

Himmler era orgoglioso delle sue SS, nelle sue parole «una Organizzazione Nazionale Socialista composta da uomini scelti per le loro caratteristiche nordiche e uniti da un giuramento di sangue [...] Con il coraggio di essere impopolari [...] Con il valore di essere duri ed insensibili».

In una sua arringa dell’ottobre del 1943, Himmler spiegò alle sue SS che «il popolo ebraico sta per essere sterminato [...] Molti di voi sapranno quello che è contemplare una montagna di 100, 500 o 1000 cadaveri [...] Questa è una pagina gloriosa della nostra storia». Gli ebrei, secondo Himmler, anche se fisicamente e biologicamente identici alla maggior parte degli esseri umani, erano mentalmente e spiritualmente inferiori: subumani.


Himmler era un fanatico, un tipo grigio, freddo, metodico, tremendamente efficace, ossessionato dal crescere e compiacere il Führer, ma era anche un padre affettuoso che venerava la sua unica figlia, Gudrun, una bambina bionda dall’aspetto angelico, che veniva chiamata Puppi (bambola). In una fotografia molto diffusa si vede Heinrich Himmler con indosso l’uniforme nera delle SS, nella manica sinistra una fascia con la svastica, tenendo sulle sue ginocchia la piccola Gudrun, e si nota un enorme contrasto tra quest’uomo col profilo da roditore, con naso affilato, occhiali rotondi, baffi alla fascista, guance cadenti e mento sfuggente e questa bambina bellissima, con trecce bionde, pelle bianca e tratti delicati, la perfetta ariana.

Gudrun adorava suo padre; era solita divertirsi a ritagliare le foto di Himmler che venivano pubblicate sui giornali e incollarle in un album.

Alla fine della guerra, Himmler fu catturato dagli inglesi e si suicidò prima di essere giustiziato, come il suo venerato Hitler. Gudrun e sua madre furono detenute in Italia dagli americani, che le rinchiusero in un campo di prigionieri, dove Gudrun diede mostra della sua ostinazione e del suo carattere.

Nel libro My Father’s Keeper (in italiano, I figli dei gerarchi nazisti) di Stephan y Norberto Lebert, sulla vita di sei figli di gerarchi nazisti, è raccolto un aneddoto molto esplicativo: a Gudrun non piaceva il rancio che le davano gli americani e iniziò uno sciopero della fame. Si ammalò, perse peso in maniera grave, ma continuò la sua protesta: dopo alcune settimane, lei e sua madre furono le uniche prigioniere che avevano il privilegio di mangiare la stesso pasto dei nordamericani. Gudrun e sua madre passarono due anni in altri campi di concentramento; le portarono a Norimberga, in qualità di testimoni.

A Gudrun chiesero se qualche volta era andata in un campo di concentramento.

- Una volta andai a Dachau – rispose.

– Con tuo padre?

– Sì

– E cosa hai visto lì?

– Mio padre mi fece vedere i giardini di erbe e mi insegno a differenziarli uno dall’altro – disse Gudrun.

– Vedo che…vuole farmi capire che non vide nessun prigioniero?

– Vidi qualche prigioniero… – ammise Gudrun

– Cosa ti spiegò tuo padre a proposito?

– Disse che quelli che portavano un triangolo rosso erano prigionieri politici, e gli altri dei criminali.

Non poterono chiederle altro. Gudrun venne a sapere della morte di suo padre per puro caso, i suoi carcerieri glielo avevano tenuto nascosto, ma un giorno un giornalista americano andò ad intervistare la moglie di Himmler nella sua cella e Gudrun osò fare quella domanda a cui nessuno aveva dato risposta:

- Dov’è mio padre?

– E’ morto – rispose il giornalista – Si è avvelenato con del cianuro qualche tempo fa.

Gudrun, che aveva già compiuto 15 anni, fu colpita da un collasso fisico e mentale.

Era una ragazzina pallida, malaticcia, molto magra, soggetta a svenimenti e poco sviluppata; a 16 anni la prendevano per una bambina di 12. Ha sempre negato il suicidio di suo padre e sostiene che venne assassinato.

Gli americani non sapevano come sbarazzarsi della vedova e della figlia del falco nazista. Confessarono di non avere famiglia o conoscenti, o chiunque altro a cui rivolgersi. Erano sole al mondo e aveva un nome maledetto. Gli americani le consigliarono di cambiarlo, ma Gudrun non volle, mantenne il cognome Himmler e, quando le veniva chiesta l’occupazione del padre, rispondeva: «Era il capo delle SS».

Gudrun ebbe vari problemi per essere ammessa a scuola e all’università e perse vari lavori a causa del suo cognome, ma si oppose categoricamente a modificarlo; per sua volontà si convertì in una specie di martire del nazismo. Con il tempo si sposò e si fece chiamare Gudrun Burwitz. Ebbe vari figli e fu una tipica madre di famiglia tedesca, con un hobby molto speciale: Gudrun Burwitz è a capo di una organizzazione di aiuto per gli ex membri del regime nazista chiamata Stille Hilfe (aiuto tranquillo), che offre loro aiuti finanziari, medici e legali, tanto in Germania come in altri paesi dove cercarono rifugio i nazisti profughi.

Stille Hilfe naque nel 1951 come organizzazione umanitaria promossa dall’aristocrazia nazista, dalla Chiesa cattolica e da quella protestante, che ebbe la benedizione di papa Pio XII, del vescovo e del sacerdote responsabile della Caritas tedesca. L’associazione dispone di ampi mezzi e più di un migliaio di benefattori.

Gudrun Burwitz è assidua frequentatrice dei meeting neonazisti e ha consacrato la sua vita alla riabilitazione della figura di suo padre e alla glorificazione della sua memoria. E’ una nazista convinta; per lei, suo padre non fu colpevole, ma vittima. A quanto pare ha un cattivo carattere, è una donna severa, scontrosa e testarda, che ha fatto della sua vita una crociata: Gudrun Himmler contro il mondo.

Nessun commento:

Posta un commento