Negli anni precedenti la guerra, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Lione poi raggiunse la famiglia a Belgrado in tempo per subire i bombardamenti nazisti sulla città (1941).
Il padre Leopoldo, Rabbino Capo e talmudista venne deportato dai nazisti. Furono più di 30 i familiari deportati.
Dopo la fuga da Belgrado, Eva, la madre ed il fratello minore, vennero catturati ed internati nel campo di Vallegrande (Isola di Curzola). L'amministrazione italiana del campo non conobbe - Eva è lieta di rammentarlo - ferocia alla pari di quella nazista. A causa di una malattia materna, ottenne un permesso per recarsi all’ospedale di Spalato ed in seguito a Bologna. Grazie all'aiuto di alcuni componenti del Partito d'Azione, Eva Fischer e i suoi familiari si nascosero sotto il falso nome di Venturi.
A guerra finita scelse Roma come sua città d’adozione ed entrò immediatamente a far parte del gruppo di artisti di Via Margutta. Di quel periodo è la sua amicizia e consuetudine con Mafai e Guttuso, Tot, Campigli, Fazzini, Carlo Levi, Capogrossi, Corrado Alvaro e tanti di quella generazione di artisti che avevano maturato idee luminose entro il buio della dittatura.
Intensa anche l’amicizia con Giorgio De Chirico, Mirko, Sandro Penna, Giuseppe Ungaretti e Franco Ferrara allora già brillante direttore d’orchestra. Furono lunghe e notturne le passeggiate romane con Jacopo Recupero, Corrado Cagli, Avenali, Giuseppe Berto e Alfonso Gatto nonché Maurice Druon non ancora ministro della cultura francese che andava scrivendo le pagine de “Le grandi famiglie”.
La tematica dei "mercati romani" venne apprezzata da Salvador Dalì, mentre Ehrenburg scrisse sulle “umili e orgogliose biciclette”.
Incontrò Pablo Picasso a casa di Luchino Visconti. Picasso la esortò a progredire nella luce misteriosa delle "barche" e delle "architetture meridionali".
Si trasferì a Parigi nel quartiere di Saint Germanin des Près presso Zadkine e divenne amica e profonda ammiratrice di Marc Chagall.
Proseguì poi per Madrid dove, nell’Atelier di Juana Mordò, la sua pittura fu al centro di dibattiti con i pittori spagnoli ancora in lotta contro il franchismo.
Trascorse negli anni sessanta un periodo londinese, dove espose nella Galleria Lefevre che aveva concesso l’ultima “personale” al pittore Franco Modigliani. La Galleria Lefevre ospitò i quadri di Eva per i “suoi colori mediterranei e l‘italianità” delle sue tele.
Il mondo della Fischer è fatto di brevi migrazioni ovunque il suo estro l’ha chiamata: da Israele ove dipinse mirabili tele di Gerusalemme ed Hebron (molto note sono le vetrate del Museo israelitico di Roma), fino agli U.S.A. dove conta numerosi collezionisti ed estimatori, fra i quali gli attori Humphrey Bogart (fu la moglie Lauren Bacall a donargli la prima opera) e Henry Fonda.
Nel 1990 espose presso il Museo dell'Olocausto "Yad Vashem" di Gerusalemme, di cui alcune opere costituiscono dal 1991 la "Fondazione Eva Fischer" a Kfar Sava (Israele).
Nel 1992 Ennio Morricone le dedicò un CD di 12 brani, intitolato A Eva Fisher Pittore.
Diverse sue opere fanno parte di collezioni internazionali pubbliche e private.
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