sabato 4 agosto 2012

Partigiane, la Resistenza taciuta

"Le donne nella Resistenza sono ovunque. Ricoprono tutti i ruoli. Sono staffette, portaordini, infermiere, medichesse, vivandiere, sarte. Diffondono la stampa clandestina. Trasportano cartucce ed esplosivi nella borsa della spesa. Sono le animatrici degli scioperi nelle fabbriche. Hanno cura dei morti. Compongono i loro poveri corpi e li preparano alla sepoltura. Un certo numero di donne imbraccia le armi. [...] Tuttavia le donne non hanno ottenuto quei riconoscimenti che meritavano".
Angelo del Boca, partigiano, scrittore e storico

"Senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza".
Arrigo Boldrini (Bulow), medaglia d’oro della Resistenza

Estratti dal volume*

PARTIGIANE – DONNE DELLA RESISTENZA


Già è stata notata la riluttanza a far sfilare le partigiane nei cortei di liberazione: essa non è che il preludio del silenzio che da allora coprirà centinaia di storie vissute da queste donne; silenzio delle istituzioni, anzitutto, ma silenzio delle donne stesse che si sono volontariamente emarginate dalle cerimonie e dalle manifestazioni celebrative, non meno che dai riconoscimenti e dalle onorificenze, per naturale riserbo, riacquistato col ritorno alla normalità. [...] La storiografia ha continuato perciò a considerare e valutare l’operato femminile in base al grado di avvicinamento ai valori, alle dinamiche delle azioni maschili. Individuare ciò che di nuovo emerge da questi nuovi soggetti storici che agiscono in condizioni loro proprie, del proprio sesso, e secondo propri criteri, significa allargare il raggio di visione della storia, vederne la complessità e la contraddizione e soprattutto non trascurarne mai il legame inscindibile con la vita di tutti.


PRIGIONIERE


Le donne che scelgono di lottare per la liberazione affrontano il carcere durante la Resistenza.[...] Suore e parenti si uniscono nel cercare di insinuare i sensi di colpa nelle politiche, donne anormali, che hanno trascurato i figli per la militanza, problema quest’ultimo che, nell’opinione comune anche alle donne, riguarda, nella coppia, soltanto la madre. Le politiche resistono e, operaie e intellettuali, ottengono qualche modesto diritto, si riuniscono a leggere e a studiare, a discutere tutte insieme e lo studio sembra loro quasi un momento privilegiato di quiete che nel ricordo ci tramandano, nella vita troppo affollata di faccende e di responsabilità che riprendono appena uscite di prigione. Le donne ostaggio, vivendo il carcere come sopruso violento, sono portate ad accogliere il messaggio delle politiche e, dalla riflessione sulla loro sorte privata, arrivano spesso alla consapevolezza antifascista, e assumono quindi sul campo le ragioni della loro resistenza.


Il carcere effettivamente è privazione di libertà, è privazione di cibo, di aria, di luce, di spazio, di rapporti umani , ma i motivi che hanno spinto donne e uomini all’antifascismo, nell’isolamento del carcere divengono più lucidi e saldi, la comprensione umana si allarga a tutti quelli che lottano per andare avanti. Così anche il carcere, in tutte le situazioni, contribuiva a rendere più illuminata, più forte, più alta la Resistenza.

Ada Buffulini "Maria", aderente al partito socialista, con la divisa del campo di prigionia. Sul petto sono cuciti il triangolo rosso e la matricola 3795. Arrestata a Milano nel '44 e deportata a Bolzano, nel lager fu rappresentante clandestina del suo partito.


In Italia avveniva anche la deportazione civile verso campi che erano di transito per i prigionieri diretti a Mauthausen, Flossenbürg, Dachau, Ravensbrück e Auschwitz, come quello di Bolzano-Gries. Qui furono internati soprattutto prigionieri politici, partigiani, ebrei, zingari e prigionieri alleati. Tra le donne molte le militanti antifasciste, le ebree, le zingare, le slave e le mogli, le sorelle, le figlie di perseguitati antifascisti. Infine i bambini, provenienti da famiglie ebree, zingare e slave già deportate per motivi razziali. Nel campo fu attivissima una organizzazione di resistenza, in stretto contatto con una struttura di appoggio esterna.

materiali da ANPI Bolzano

RESISTENZA QUOTIDIANA


Le donne costituirono nel quotidiano per la Resistenza, non un appoggio assistenziale, ma la sua spina dorsale, la sua insostituibile rete di supporto. [...] Così in un primo momento ciascuna, anche se giovanissima, spinta da una profonda emozione, offre aiuto alla fuga, poi si organizza creando immediatamente una vasta rete di assistenza, che serve non soltanto a salvare i singoli smarriti soldati, ma offre agli sbandati la possibilità concreta di organizzarsi in bande di resistenza. Continua così l’attività delle donne: cominciano la raccolta di armi, di cibo, di vestiario, indirizzano i singoli sperduti. Le donne cercano, trovano, indicano luoghi adatti al raduno clandestino.


RESISTENZA ORGANIZZATA


Nel novembre del ’43 a Milano si trovano alcune dirigenti dei partiti del CLN, Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Piccolato, comuniste; Laura Conti e Lina Merlin, socialiste; Elena Dreher e Ada Gobetti, azioniste, e gettano le basi di un’organizzazione femminile di massa che si chiamerà Gruppi di Difesa della Donna e di assistenza ai combattenti. Poiché le donne fanno già parte dei SAP e dei GAP, l’intento è di dare massima diffusione a quella che oggi si chiama Resistenza civile anche tra le donne comuni che ancora non hanno una chiara coscienza politica, più che logico dopo anni di esclusione dalla vita pubblica e dopo vent’anni di dittatura. [...] Sappiamo anche della denominazione venuta dall’alto: «Noi abbiamo avuto dal partito delle circolari in cui si diceva di costituire i Gruppi di Difesa della Donna e abbiamo accettato questo nome senza tanto discutere». Abbiamo dunque la prova dell’iniziativa del partito comunista che detta la denominazione ma sappiamo anche di vivaci discussioni tra le donne.
Milano, il 10.4.1945. Da sinistra: Virginia Scalarini e Mira Baldi casualmente ritratte da un fotografo di strada. Nella borsa Virginia Scalarini stava trasportando un milione di lire da recapitare al CLN milanese

INFERMIERE


Un ruolo tipicamente femminile, quello dell’assistenza sanitaria, negli anni della lotta alla liberazione è stato scelto liberamente ed esercitato in modo spesso rocambolesco dalle donne partigiane: infermiere, mediche, assistenti fuori da ogni norma, le donne assistono i feriti e i malati individualmente o negli ospedali pubblici o addirittura organizzano veri centri di pronto soccorso e assistenza medica, costituendo una sorta di esercito della salvezza clandestino.

L'infermiera Maria Peron, unitasi alla 85 brigata Garibaldi Valgrande Martire


STAFFETTE

La staffetta è una nuova risorsa nata dalla necessità della guerra civile, il suo compito è quello di trasportare ogni sorta di beni necessari, dalle armi alle munizioni, dal cibo alle vesti, dalle medicine alla stampa. [...] Le staffette sono donne che hanno deciso di partecipare in prima linea, di essere individuabili ed esposte, di correre tutti i rischi. Oltre alla consapevolezza della lotta al nazifascismo esse uniscono un desiderio di libertà, di autonomia personale.


FATTORINE


Sui giornali “maschili” le donne non scrivono, qualunque sia la coloritura politica, né su quelli comunisti, né su quelli azionisti, tranne due o tre eccezioni. [...] Le ragazze raccolgono i testi dai nascondigli di più o meno difficile accesso, li battono a macchina, li correggono, li portano in tipografia, di qui ritirano poi i giornali, fogli, manifesti e soprattutto li distribuiscono in mille modi diversi.


RESISTENZA ARMATA


Impossibile spiegare i motivi di tutte le scelte individuali, nel complesso delle testimonianze emerge, sia in quelle femminili che in quelle maschili, che l’uso delle armi viene inteso come desiderio di partecipazione totale. [...] Nelle testimonianze femminili si racconta che spesso i partigiani in brigata tendono a voler considerare e a usare le donne nel loro ruolo tradizionale di cura, spetta perciò alla donna, alla ragazza, insegnare che non è venuta a cucinare, né a fare l’amore, è lei che deve pretendere la parità dei compiti e il rispetto deve guadagnarselo sul campo, cioè nella vita in comune e nella lotta armata.


Si forma nella vita in comune un’etica partigiana molto rigida e austera e, nonostante la loro educazione fascista, questi giovani, che non avevano mai vissuto in cameratismo con delle ragazze, perché ai tempi del regime era considerato promiscuità, imparano un modo nuovo di rapportarsi alle donne della loro formazione, le trattano con rispetto, con amicizia, con tenerezza; né gli uni né gli altri dimenticano l’appartenenza di sesso, ma gli uomini cercano nelle partigiane un abbandono che è necessariamente soltanto sentimentale.

Di fronte alle ragazze partigiane, il sesso è rimosso severamente, resta uno di quei problemi “maschili” che a quel tempo le ragazze serie ignoravano, o meglio, fingevano di ignorare anche nella vita partigiana. Ovviamente nascono nella lotta simpatie e amori che di norma si concludono con le nozze.

[...] Finiti i tempi eccezionali, fu poi difficile persuadere gli altri di tanto rigore, e intorno alle partigiane che hanno vissuto in mezzo agli uomini aleggerà sempre un’atmosfera di sospetto. [...] La scelta di vivere in formazione comportava da parte della donna un carattere straordinariamente deciso e spesso la rottura con la famiglia.

Po di Ficarolo (Rovigo). Ritrovamento nel fiume del cadavere di una partigiana seviziata e uccisa dai nazisti.

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